Auditorium di Casatenovo. 50 anni di cinema e teatro

Baarìa - La porta del vento

Baarìa - La porta del vento

Sabato 10 ottobre Ore 21:00
Domenica 11 ottobre Ore 16:00 e 21:00

"Baaria" è l’antico nome fenicio della città siciliana di Bagheria. Attraverso le vicende di tre generazioni di una famiglia di Bagheria, il film racconterà un secolo di storia italiana.

Negli anni del Fascismo, Ciccio è un modestissimo pecoraio che trova il tempo per dedicarsi al suo mito: i libri, i poemi cavallereschi, i grandi romanzi popolari. Nella stagione della fame della Seconda Guerra Mondiale, suo figlio s'imbatte nell'ingiustizia e, seppur ignorante, si appassiona alla politica, diventando pian piano un assessore del Partito Comunista. Nel frattempo, l'incontro e la fuitina con la donna della sua vita, Mannina, dalla quale ha cinque figli. In un finale onirico, Peppino, tornato scolaro delle elementari, si sveglia nel 2009 e inizia a girare per una città caotica che non riconosce, se non nello scheletro della sua casa natale e in un orecchino perso un giorno da sua figlia, dopo che lui l'aveva schiaffeggiata. Giusto il tempo di incrociare di corsa suo figlio, di poco più piccolo, che torna indietro nella vecchia Bagheria a giocare spensieratamente con la trottola, insieme agli amici...

Regia Giuseppe Tornatore
Sceneggiatura Giuseppe Tornatore
Musiche Ennio Morricone

Francesco Scianna Margareth Madè
Raoul Bova Laura Chiatti
Monica Bellucci Enrico Lo Verso
Nicole Grimaudo Gabriele Lavia
Beppe Fiorello Giorgio Faletti
Paolo Briguglia Vincenzo Salemme
Aldo Giovanni
Giacomo Luigi Lo Cascio
Leo Gullotta Nino Frassica
Salvatore Ficarra Valentino Picone

Biglietti esselunga Vieni al cinema alla domenica sera - a Casatenovo costa meno Prendi sei e paghi cinque - Tessere a scalare

Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)

Giudizio: Consigliabile / realistico **

Tematiche: Famiglia; Politica-Società; Storia.

Sentiamo Tornatore: "E' forse per rincorrere l'ingenuità perduta il giorno in cui ho lasciato la Sicilia, che da più di venti anni (sebbene qualche traccia sia già emersa nelle mie opere d'ambiente siciliano) rimugino di fare un film su quella stagione ineffabile e senza tempo della mia vita in cui l'Universo nasceva in via Guttuso, si snodava da piazza Madrice lungo la stratonello di corso Umberto I, e finiva alla rotonda di Palagonia.". Il tutto a Bagheria, in arabo forse "Porta del vento", ma che tutti hanno sempre chiamato Baaria. Supportato da un impegno produttivo notevolissimo (9 mesi per la preparazione, 12 mesi per le costruzioni scenografiche, 210 personaggi, 63 attori professionisti, 35000 comparse), Tornatore lascia ben presto i toni del racconto per entrare nella dimensione dell'epica, dell'affresco storico. I personaggi centrali, e le loro vicende personali, diventano l'indispensabile punto di riferimento, una sorta di bussola per non perdersi nei mille rivoli di una vicenda senza confini. Come già nell'ultimo Sergio Leone (cui sembra che Tornatore si ispiri), la Storia é una grande matrigna, alla quale il singolo si oppone con la forza della ragione e della volontà. In 150' di narrazione senza respiro, il regista costruisce immagini di una visionarietà in più momenti indimenticabile. E l'immagine, in questo caso, ha la meglio sull'azione. Sull'Italia tra fascismo, guerra e dopoguerra si ripercorrono strade già battute, sulla Sicilia degli anni '50/'60 si dice tutto in modo un po' sbrigativo. In qualche passaggio realismo e simbolismo non vanno d'accordo. Ma l'irruenta forza dell'affresco resta intatta. E ne esce un grande kolossal, di cui il cinema italiano ha un grande bisogno. Dal punto di vista pastorale, il film é da valutare come consigliabile e realistico per lo sfondo sul quale si svolge.

Utilizzazione: il film é da utilizzare in programmazione ordinaria e da proporre come esempio di grande produzione italiana tra storia e metafora. Qualche attenzione per i più piccoli è da tenere in vista di passaggi televisivi o di uso di VHS e DVD.

cinematografo.it - Fondazione ente dello spettacolo ***** Tornatore rievoca settant'anni di storia bagherese per raccontare il suo cinema: ambizioso, esagerato e imperfetto, in Concorso

La storia della famiglia Torrenuova incrocia settant'anni di vicende cittadine e nazionali: tre generazioni di bagheresi (Mannina e Peppino, i loro padri e i loro figli) attraverso cui passano guerre e liberazioni, crolli e utopie, passioni pubbliche e private. Negli anni del fascismo è il pecoraio Cicco Terranuova (Alfio Sorbello da giovane e Gaetano Aronica da adulto) a non rassegnarsi alle durezze di una vita povera e avara di bellezza, abbandonandosi alle narrazioni del neonato cinematografo, dei grandi poemi cavallereschi e dei romanzi popolari. Nell'immediato dopoguerra toccherà a Peppino (Francesco Scianna) tentare di elevarsi e cambiare le cose abbracciando l'utopia comunista e una faticosa carriera politica. Ma sarà suo figlio Pietro (Gaetano Sciortino) a segnare il vero punto di non ritorno: abbandonate le antiche illusioni paterne, il ragazzo lascerà la Sicilia cercando di affermarsi come fotografo, e come uomo, altrove. L'enorme attesa attorno al kolossal italiano Medusa (per i costi e il dispiego dei mezzi, per la sensibilità e le ambizioni del suo autore) non viene ripagata del tutto: Baaria (nome fenicio di Bagheria che significa "porta del vento") è una versione macroscopica del cinema di Tornatore, una lente d'ingrandimento delle sue virtù e dei suoi limiti. Così se ogni personaggio (meglio Scianna della comprimaria Madè), movimento di macchina e taglio di montaggio testimonia della smisurata passione del regista siciliano per la narrazione per immagini, questa stessa passione tracima spesso nella dismisura retorica dei dolly e delle ellissi impossibili, della bella inquadratura, della musica in pompa magna (Morricone), e del colpo ad effetto. E se l'infantile ingenuità con la quale il cineasta di Bagheria affronta ogni impresa può andare bene per il minimalismo nostalgico alla Nuovo cinema paradiso, questa diventa un problema quando si vuol contenere quasi un secolo di vicissitudini italiane in due ore e mezza. L'emozione si perde dietro i troppi avvenimenti e personaggi, la ricostruzione, compressa, risulta per forza di cose monca. Imperdonabile che Baaria, pensato come affresco corale sulla storia - quella personale del regista e quella collettiva di varie generazioni siciliane - finisca per scambiare la memoria con la sua immagine stereotipata, e che rinunci al ripensamento - anche malinconico - del passato per una rievocazione piena di cliché e sentimentalismo (alla Sicilia di Tornatore non manca nulla dei suoi luoghi comuni e del suo rinomato folklore). Più sincero il regista quando trova in mezzo a tanto immobilismo accenti di vitalismo inaspettato (ciascuno in fondo persegue una sua personale battaglia: Peppino lotta per un un mondo migliore, la moglie per il riscatto sociale, la madre della moglie per l'onore del padre ammazzato dalla mafia), o quando per bocca di Peppino disilluso declama: "Noi Terranuova vogliamo abbracciare il mondo intero, ma abbiamo le braccia corte". Qui c'é tutto il film. Il suo senso. E forse anche il suo valore. (Diletta Allievi) 

La critica

"La grande forza del film, da cui gli spettatori italiani saranno privati per ragioni di mercato, è che la folla di attori che lo popolano parla in dialetto baarioto, con quelle grida gutturali che ci ricordano una regione, una nazione che avevamo dimenticato in tutta la sua sottomissione primitiva, la sua superstiziosa rassegnazione, il suo abbandono. In italiano il film sarà più comprensibile, ma meno commovente e ipnotizzante, perché i suoni di quella lingua quasi selvaggia aderiscono completamente alle persone e ne esaltano le storie." (Natalia Aspesi, 'la Repubblica', 03 settembre 2009)

"Non crediate ad un film di stampo neorealista. 'Baaria' è visionario, sfarzoso, esagerato, pomposo. Ti travolge con un'inventiva che qua e là sfocia nel bozzetto, e regala nel finale una dimensione onirica ben poco originale. Ma strada facendo, ha momenti memorabili. Sul registro epico - la sequenza dell'occupazione dei braccianti - e soprattutto su quello intimo, familiare. Il gioco della memoria, la rievocazione del passato spingono Tornatore sul terreno del mito. (...) Se Tornatore avesse girato il film 20 - 30 anni fa, ci avrebbe messo Franco e Ciccio, con lo stesso risultato: vittoria piena." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 03 settembre 2009)

"Il film riflette più d'ogni altro le caratteristiche di Tornatore: la sua gran bravura alla macchina da presa, la sua mancanza d'umorismo e di ironia, la sua capacità nell'affrontare il pathos o la singolarità dei dettagli e l'incapacità di forte visione generale. 'Baaria', un poco scolastico, prevedibile, alla maniera di 'Rosebud' di Orson Welles termina con l'immagine di un giocattolo infantile, e affastella forse troppi dettagli. (...) Alla mafia si accenna pochissimo, al cinema moltissimo: manifesti ('Uno sguardo dal ponte', 'Fellini' Satyricon'), proiezioni, Alberto Lattuada che gira a Villa Patagonia, il commercio tra bambini di piccoli pezzi di pellicola. La musica di Ennio Morricone è facile e invadente, i protagonisti sono bravi. Come tanti film inaugurali di festival, 'Baaria' non può essere paragonato a 'Amarcod' di Fellini anche per la carenza di fantasia e satira (ma al massimo si arriva a un tenue grottesco) ma è accurato, piacevole da vedere." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 03 settembre 2009)

"Tornatore impiega con coscienza una fotografia di cultura televisiva (la fiction e lo spot) e la distacca nel passo metaforico del film, fiducioso che questa immagine "corrotta" corrisponda a un immaginario, a un sentimento visivo riconoscibile del pubblico di oggi. I personaggi, alcuni protagonisti e decine di figure minori densissime di ruolo e significato, sono distribuiti secondo un lavoro di casting registico intelligente e originale, i ruoli principali affidati a esordienti che lasciano il segno (Francesco Scianna che ha energia e carisma, ricordando una sorta di Richard Gere siculo, e Margareth Madè, meno incisiva ma misurata), quelli secondari ad artisti celebri trasformati dal segno deciso, e decisivo, della regia (la Sastri matrice magica delle sorti di famiglia, il politico dc di Frassica, il Salemme cantante istrione, e Placido, Lo Cascio, Beppe Fiorello, eccetera). E' una via giusta per aiutare lo spettatore a seguire il percorso denso e incalzante di un ambizioso Novecento indeciso tra tragedia e commedia, tra iperrealismo e caricatura. Per non smentirsi, Tornatore dispone almeno tre finali, l'ultimo con strazio retorico. Ma, bisogna distinguere: nel film, l'impiego della figura retorica e della sovrabbondanza melò sono trattati da un narratore di razza esposto alle proprie sincere debolezze. 'Baaria' è un kolossal da 25 milioni di euro destinato a lunga vita nazionale e internazionale, ma è anche un film dell'anima. Di Tornatore. Su questo non c'è dubbio. Nel bene e nel male." (Silvio Danese, 'Quotidiano Nazionale', 03 settembre 2009)

"Certo, in due ore e trenta minuti di proiezione non tutto funziona alla perfezione, e il gusto per una favola un po' troppo sottolineata ogni tanto fa capolino, ma alla fine ti senti tirato dentro in questo spaccato di vita siciliana. Forse non ne sai molto di più su Bagheria ma ti sembra di esserne diventato una piccola parte e come il popolo in piazza al comizio di Placido vien voglia di gridare insieme a tutti: 'acqua!'." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 03 settembre 2009)

"Se in 'Amarcord', il film cui 'Baaria' viene più spesso accostato, i personaggi dell'adolescenza di Fellini erano trasfigurazioni rese archetipiche dalla memoria emozionale del regista, i mille abitanti di Bagheria rischiano di diventare stereotipi etnici a uso e consumo del pubblico d'oltreoceano che ha imparato a pensare alla Sicilia, e all'Italia in generale, per luoghi comuni. Positiva invece la scelta di lasciare fuori quasi del tutto la componente violenta del "carattere" siciliano e i riferimenti alla mafia, che rimane sullo sfondo per privilegiare una cifra della sicilianità assai celebrata dalla letteratura - vedi Sciascia e Pirandello - ma poco dal cinema: l'ironia, che colora tutte le scene e i personaggi del film di Tornatore. Se certe immagini di povertà e polvere ricostruite in studio (la Baaria di Tornatore è una serie di splendide stenografie, allestite in Tunisia da Maurizio Sabatini) sembrano messe lì per compiacere chi vuole l'Italia eternamente rurale e sgarrupata, l'autoironia dei personaggi esorcizza il rischio della deriva melodrammatica che ha caratterizzato molti film precedenti del regista siciliano." (Paola Casella, 'Europa', 03 settembre 2009)

"L'impressione è di una bella occasione persa, la possibilità fallita di entrare nell'anima vera della Sicilia, quella particolare e universale che la rende unica e allo stesso tempo un modello esemplare delle grandezze e delle miserie umane. Invece ci ritroviamo tra le mani una cartolina estetizzante, un cinema statico e piattamente narrativo. All'estero c'è interesse - un collega americano azzarda anche la possibilità di un secondo Oscar dopo 'Nuovo cinema Paradiso' - , il pubblico potrebbe apprezzare, ma l'isola rimane inafferrabile, proprio come Gian Maria Volontè ce la mostrava in 'Una storia semplice". Il regista e sceneggiatore cita Sciascia ma poi non ne segue le orme o almeno l'ispirazione. (...) Si affida alla bellezza ipnotica di Margareth Madè, al fascino naif del suo protagonista maschile, a ricordi che sanno di mito domestico, con la bella musica di Ennio Morricone, però, che vorrebbe la potenza di Sergio Leone o la complessità di una storia più cattiva e complessa, quella 'forza sporca' trovata, per esempio, ne 'La sconosciuta'. 'Baaria', invece è un film medio, in alcuni momenti mediocre. Peccato." (Boris Sollazzo, 'Liberazione', 03 settembre 2009)

"Tornatore non fa politica, ma la mostra in azione, nelle piccole azioni, nei gesti. Dall'esproprio di un cappotto ai danni di un compagno (Leo Gullotta) perché un dirigente che deve andare in Russia non ce l'ha, ad un ricorso all'Inps per assegni di famiglia che alla fine avrà buon esito. I comunisti sanno vestirsi, ma non sanno arricchirsi e, almeno in Italia, non hanno mangiato mai i bambini. Sulla grottesca barbarie dei fascisti Tornatore glissa. Insomma, non un film antifascista, ma filocomunista, di stampo riformista, perché i comunisti stanno contro i mafiosi. Almeno in Sicilia. Ma questo può davvero piacere a Berlusconi?." (Luca Mastrantonio, 'Il Riformista', 03 settembre 2009)

"Non è probabilmente il messaggio del film che ci fa velo. Un autore può essere pessimista. La questione centrale resta sempre il modo con cui il discorso è articolato, come un'epopea, che può sì accogliere anche elementi grotteschi o ridicoli o fortemente sentimentali come qui avviene, segue il suo ritmo, finisce per convincere chi la ascolta. Qui, in 'Baaria', non convince i1 declamato alto che Tornatore ha voluto imprimere alle immagini sovraccaricandole di figure in movimento sia in tempo in cui l'agitarsi della gente pareva meno frenetico di oggi che in questi anni che sembrano a volte prossimi al caos. Ma la memoria, specie se profondamente partecipata, non sempre consente il proclamato alto. Abbisogna di sospensioni, di silenzi, di punti fermi. La scrittura di Tornatore che in altre occasioni conobbe la pazienza del 'rallentato' qui si fa come impazienze, e simile allo scorrere del tempo che tutto pare trascinare con sé e triturare. Muoiono le utopie. Le speranze spariscono." (Francesco Bolzoni, 'Avvenire', 03 settembre 2009)

"Nessuno fa niente da solo, l'horror vacui riempie le botteghe con forme di pecorino e salsicce in quantità (troppe per la miseria dei decenni trascorsi) e affida ogni scena alle amorevoli musiche di Ennio Morricone. I comunisti non mangiano i bambini, viene ribadito più volte. E nonostante questo Silvio Berlusconi consiglia il film a tutti gli italiani, pronto a mandarlo in onda a reti unificate quando sarà il momento. Nel bailamme, non si dovrebbe notare che i salti avanti e indietro sono faticosi, che il simbolismo delle uova rotte e delle bisce nere è un po' d'accatto, che il risultato - in mancanza di una storia avvincente - somiglia a una serie di pittoreschi e nostalgici bozzetti siciliani. Resta la sorpresa su come reagiranno i tradizionali fan di Tornatore al caloroso invito dell'ultimo (ma non meno importante) fan. Lo chiameranno cinema di regime?" (Maria Rosa Mancuso, 'Il Foglio', 03 settembre 2009)

"Il bello del cinema di Tornatore è che non conosce le mezze misure e fa di ogni episodio un'avventura, di ogni gesto un'iperbole, di ogni personaggio un eroe. Il guaio del cinema di Tornatore è che non conoscendo mezze misure rischia di soffocare sotto l'accumulo di effetti, metafore, crescendo, colpi di scena, paradossi temporali e chi più ne ha più ne metta. Come se la Storia di cui tutti facciamo parte non fosse un problema sempre aperto, un processo senza fine da indagare e verificare ogni volta di nuovo, ma un insieme dato una volta per tutte di forme, facce, eventi, sentimenti da far scorrere a piacimento nella moviola della memoria. Magari correggendolo con le lenti della fantasia, come hanno sempre fatto i cantastorie. (...) dove questo soffio epico o umoristico viene meno, il film finisce per infilare uno dietro l'altro episodi più o meno felici, sorretto da un grande lavoro sul cast e accompagnato dalle musiche incalzanti di Ennio Morricone con una tale mancanza di pause e rallentamenti, indispensabili a loro volta, che a tratti paradossalmente sembra di guardare il trailer di un film che Tornatore non farà mai ma che un giorno ci piacerebbe vedere. Chissà, forse per trasformare davvero Bagheria nella sua Macondo ci voleva più leggerezza, meno "poesia" (meno poeticismi). E un rapporto diverso con la Storia, che in un racconto costruito in questo modo diventa anche senza volere un catalogo di cliché. Il fascismo e la guerra, il Pci egemone anni '50 e il mito effimero dell'Urss, Fred Astaire e Tambroni, Mina e la rivoluzione sessuale, poi la mafia, le elezioni, il trasformismo, gli intrallazzi, le mazzette, il '68. Tutto già visto, catalogato, in fondo rassicurante. Un come eravamo, ingordo e rutilante, generoso e diseguale, ma più pittoresco che magico." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 03 settembre 2009)

"Tornatore ha fuso il privato con il pubblico dando spazi simili all'individuo e al coro. Con immagini in cui la realtà diventa pittura, con figure, al loro centro, che si propongono con esattezza (fra il dramma e i lampi di ironia). Mentre dei ritmi con echi di canto le portano avanti con logiche serrate, grazie anche alle musiche splendide di Ennio Morricone che sanno perfettamente aderire sia alle varie epoche sia ai tanti caratteri cui dar sempre toni ispirati. Eguale perfezione negli interpreti. Il protagonista, Francesco Scianna, pur noto in teatro, al cinema e in tv, qui ha un volto nuovo con espressività originali. Al suo esordio, invece, la modella catanese Margareth Madé, che però gli si adegua. Attorno, anche in parti di fianco, nomi notissimi del nostro cinema. Per rendere omaggio a Tornatore e al suo film." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 03 settembre 2009)

"Un dramma epico, quasi una baraonda esagitata e sopra le righe, sui siciliani in dialetto di Bagheria (ma in continente lo sentiremo doppiato), dunque. E una commedia, non realista, piuttosto arabescata, da pupi in crociata, 'sui comunisti quando erano puri', come lo giudica e lo raccomanda a tutti il suo «produttore ombra», entusiasta sia dell'analogia tra «purezza» e «impotenza» comunista che dell'uso imprenditoriale di ogni utopia. «Un film mio, sarà riuscito o meno, ma è come lo voglio, ed è questo che dà fastidio a molti», invece, secondo le parole del suo autore, ex Pci, capace di osservare da sempre bene in faccia i mostri culturali che inquinano, inseguono (o inebriano?) la sua poetica artistica. E che sono: «il riformismo come buon senso» (si riducono, per esempio, a 5 i sindacalisti uccisi dalla mafia e ex X Mas, come Placido Rizzotto, nell'immediato dopoguerra, invece delle centinaia, Portella della Ginestra esclusa); il «cattivo carattere», come tatuaggio indelebile di chi fa la politica dei piccoli passi, ovvero, come dice il protagonista del film, Peppino (Francesco Scianna), «delle braccia troppo corte per abbracciare tutto il mondo»; l'indomabile risposta dionisiaca ai misteri della vita; il cinema potente, da ricatalogare dopo 'Nuovo Cinema Paradiso', da 'Cabiria' al 'Vangelo secondo Matteo', da Fred Astaire a Alberto Sordi... Attenzione: non quelli porno, che sono piaceri trash da gruppettari. E se mostri ci debbano essere che non siano quelli estremi e destabilizzanti, come nelle sequenze insostenibili di Ciprì e Maresco, ma Guttuso che traccia, in linea feroce, la Piovra; l'assessore cieco all'urbanistica che mette le mani sulla città e incassa le mazzette sotto banco; un nido di vipere che perseguita l'eroe (l'incubo di Stalin?), un traditore che passa ai socialisti e forse è più elegante di Peppino... Ma siamo davanti a un prodotto (30-35 milioni euro, e sembrano di più forse per la messe straordinaria di comparse tunisine) o a un film d'autore, misterioso e autobiografico fino all'esibizionismo, visto che si ambienta nei dintorni della casa di nascita e dei ricordi e degli incubi del regista? E visto che la quasi totalità degli attori siciliani vi sono coinvolti, come fosse il book della Film Commission sicula? " (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto', 03 settembre 2009)

Ennio Morricone

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