Auditorium di Casatenovo. 50 anni di cinema e teatro

Munich - di Steven Spielberg

Nomination golden globe - Miglior regista - Miglior sceneggiatura

Ambientato nei giorni successivi al massacro di undici atleti israeliani avvenuto durante le Olimpiadi di Monaco del 1972, Munich racconta la drammatica storia della squadra dei servizi segreti israeliani a cui venne affidato il compito di rintracciare e uccidere gli undici palestinesi che si riteneva avessero progettato la strage di Monaco.

 

VIETATO AI MINORI DI 14 ANNI

Sabato 18 febbraio

Ore 21:00

Domenica 19 febbraio

Ore 16:00 e 21:00

Regia di Steven Spielberg


Eric Bana Daniel Craig
Geoffrey Rush Mathieu Kassovitz
Hanns Zischler Ciarán Hinds

Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema ACEC)

Giudizio: accettabile, crudezze (V.M. 14)

Ufficialmente Israele ha risposto all'atto terroristico di Monaco il giorno 9 settembre, quando la sua forza aerea ha gettato bombe sulle basi dell'OLP in Siria e in Libano. Altre iniziative segrete non sono mai state riconosciute, e così Spielberg va a toccare una materia nuova e inedita. La ricostruzione che ne deriva é ampia, dilatata, abbondante. Forse troppo. Ci si chiede intanto perché abbia avvertito la necessità di raccontare anche l'attentato di Monaco, che invece poteva una parte già conosciuta (acquisita, vista) e quindi non bisognosa di una replica. Il racconto ne avrebbe guadagnato in asciuttezza e secchezza di impatto, mentre troppe digressioni rallentano la tensione e rendono difficile il coinvolgimento. L'intenzione di Spielberg, ebreo americano, di portare un contributo ad un confronto di idee più pacato e pacificato non è da mettere in dubbio, ed é auspicabile che il film diventi luogo di in contro e non di scontro. Ma certo in questo caso la magniloquenza narrativa gli è un po' sfuggita di mano, inducendolo a dare troppo spazio a vendette, scontri all'arma bianca, efferatezze varie, quando sarebbe stato preferibile, eticamente, alludere, essere più 'alti' e simbolici. Nell'insieme, dal punto di vista pastorale, il film é da valutare come accettabile, ma segnato da non poche crudezze.

Il film é da utilizzare in programmazione ordinaria, tenendo presente il divieto ai minori di 14 anni. Attenzione per i minori é quindi da tenere in vista di passaggi televisivi o di uso di VHS e DVD.

La critica

Riassunto, 'Munich' potrebbe essere 'solo' un bel thriller equamente diviso fra azione e morale. Invece è la ricostruzione (in parte documentata ma largamente congetturale) dell'operazione che seguì la strage di Monaco. Insomma un film politico, di infinita delicatezza per il tema e di enorme impatto per il linguaggio, dedicato a uno dei nodi più dolorosi del mondo contemporaneo. Fin qui però la discussione si è concentrata sul tema e sui suoi risvolti politici dribblando l'essenziale, cioè appunto il linguaggio. Che è ciò che rende 'Munich' scomodo (nelle poche scene davvero convincenti) ma più spesso imbarazzante, quali che siano le proprie convinzioni politiche o morali. Sapendo di muoversi su un terreno minato, Spielberg fa infatti massima attenzione all'equilibrio delle ragioni e dei torti sui due fronti, israeliano e palestinese. E questo va benissimo naturalmente. Ma sembra anche così preoccupato di bilanciare l'azione con la riflessione, gli inevitabili sosia (Golda Meir) con l'invenzione pura, l'orrore con lo humour, che il tutto spesso suona falso e artificioso. Insomma non rinuncia a nessuno degli accorgimenti che rendono il suo cinema così accattivante e spettacolare, ma gli sovrappone un fragile strato morale che risulta costantemente contraddetto dalle immagini. Nei momenti migliori l'ambivalenza, tema profondo del film, ci scuote. (...) 'Munich' mette a disagio perché convenzionale da cima a fondo. Vorrebbe insinuare dubbi, ma lo fa con le immagini monolitiche e autoritarie del cinema di genere. Resta per così dire schiavo del racconto (delle sue convenzioni), senza mai mettere in crisi la sua struttura profonda, come accadeva per fare un esempio in 'Niente da nascondere'. Naturalmente Spielberg non è Haneke, ci mancherebbe, l'esempio è del tutto strumentale. Ma resta la sensazione costante, e sgradevole, che per scendere su questo terreno l'artiglieria pesante di Spielberg non fosse la più indicata." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 26 gennaio 2006)

"'Munich' di Steven Spielberg parte alla grande con un allucinante quarto d' ora di spettacolo che sembra preludere a un capolavoro. (...) Il seguito dei 164 minuti di Munich, lungi dal soddisfare l'attesa del capolavoro annunciato, rientra nei canoni del film d'azione: la determinazione di Avner che si stempera in un crescendo di dubbi sulla legittimità della missione anche alla luce di alcuni tragici errori, la caratterizzazione dei kidonim, il thrilling degli attentati dove la parafrasi hitchcockiana è a volte guastata da un ambientazione non sempre all'altezza (quella Roma girata a La Valletta per ragioni di economia è inaccettabile). Per non parlare della sequenza in sottofinale quando Avner facendo l'amore con la moglie non riesce a togliersi dalla testa la strage di Monaco. Per cui Jérome Garcin su le 'Nouvelle Observateur' ha scritto: 'Di un cattivo gusto insuperabile, questo montaggio parallelo basta a contrassegnare il disastro del film'. Più condivisibili gli equilibrati rilievi di Todd McCarthy su 'Variety': racconto servito con professionalità e tuttavia troppo lungo, due ore bastavano; schema 'Dieci piccoli indiani', ovvero i morti centellinati in serie alla Agatha Christie, a rischio di noia; protagonista moscio. Sottoscrivo tutto, aggiungendo un elogio per Geoffrey Rush nel ruolo ambiguo del referente governativo, purché non vada sottovalutato il messaggio del film: non è il perdono la migliore vendetta, ma la trattativa." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 27 gennaio 2006)

"E' un film da 'non mancare' non perché sia eccezionalmente bello. Ma per il suo contenuto, per come Spielberg - ebreo impegnato nella difesa della memoria delle persecuzioni e della causa israeliana - lo ha trattato. (...) Si è detto, non senza spunti polemici, che Spielberg è giustificazionista verso i palestinesi; e lui ha risposto di non credere all'escalation delle armi ma alla trattativa, aggiungendo di essere pronto a dare la vita per Israele. Eppure la sensazione è che il film lascia è quella che non ci sarà mai scampo, che le reciproche ostilità e paure sono troppe perché si riesca a far tacere le armi. Forse Spielberg non voleva, ma il magone con cui esce dal film è questo." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 27 gennaio 2006)

"Che re Steven sia uno dei massimi registi della nostra epoca è un fatto acclarato. Che il suo pragmatismo e la sua generosità professionale lo portino a toccare alti e bassi, altrettanto. Basta confrontare lo straordinario prologo (l'azione terroristica che ritornerà nei successivi flash-back) con il pessimo finale (l'amore coniugale in montaggio alternato con i rimorsi) di 'Munich' per confermarlo. Questo film possente e, appunto, disuguale verifica un altro topos spielberghiano, quello che il collega Bruzzone ha acutamente denominato la tortura della coperta: puntualmente tirato da una parte e dall'altra, il regista sembra nato per alimentare le opposte fazioni politiche e cinéfile. Mentre i sinistri vessilli di Hamas sventolano sul Parlamento palestinese, 'Munich' non fornisce, in effetti, risposte perentorie e tantomeno definitive, ma si limita a inscenare una riflessione sulla ragion di stato e sull'efficacia della vendetta che travalica e forse penalizza la modica quantità dell'opinione personale. In fondo, lo spettatore si ritrova ad assistere a un buon thriller spionistico, a tratti veristico a tratti romanzato, chiaramente ispirato allo stile del cinema americano degli anni Settanta ('I tre giorni del condor'); mentre il contrappunto del travaglio morale dell'antieroe protagonista (il modesto Eric Bana) non ha la forza di elaborare una tesi inedita, convincente e, soprattutto, spendibile nell'attualità. (...) Accantonato, giocoforza, il presunto messaggio scottante, si deve riconoscere il nerbo registico: suspense calibrata, ambientazioni e fotografia suggestive, movimenti ampi e sicuri della macchina da presa, ossessioni e paure che si rapprendono e si sciolgono nell'adrenalina delle esecuzioni. Per fortuna Spielberg, anche quando cerca d'imitare il complottismo venato di allusioni oracolari alla Le Carré (chi sarà mai il patriarca francese che si mette al servizio di qualsiasi gruppuscolo disposto a pagare?), non tradisce la vocazione al puro spettacolo, ai ritmi incalzanti, all'intelligenza dei dettagli, insomma al suo stile ad alta definizione popolare." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 28 gennaio 2006)

"Tutto il film è incentrato su questo personaggio che si muove come all'interno di un thriller, sicario non di professione ma per fede politica. E' bene ricordare che Spielberg è un ebreo della diaspora che crede fermamente allo stato di Israele, pur avendo in alcune occasioni manifestato la sua contrarietà ad alcuni interventi di rappresaglia e ritorsione. In altre parole: nell'universo del regista americano è l'uomo in quanto persona che prevale e che è al centro dell'interesse della sua macchina da presa. (...) Spielberg è molto bravo a portarci dentro l'orrore e, al contempo, a misurare i possibili drammi dopo l'evento di sangue. Si sa che la violenza può essere descritta fondamentalmente in due modi, cioé da un punto di vista metafisico, come nel "Diavolo probabilmente" di Robert Bresson o "Cul de sac" di Roman Polanski, oppure totalmente immersi nella realtà, dall'interno dei fatti e delle azioni. Il regista americano ha scelto questo secondo sguardo, senza cadere nella platealità e nell'effettaccio, come invece capitava con l'eccessiva insistenza nella parte iniziale di "Salvate il soldato Ryan" (...) L'incipit di "Munich" è cinematograficamente perfetto: sembra, come ha annotato il critico Paolo Escobar, un gioco di specchi che si riflettono nel loro perfetto e crudele equilibrio. E' l'equilibrio del terrore che, con un montaggio magistrale su un'altrettanto magistrale "sceneggiatura di ferro", ci introduce nella vicenda come un proemio che in se stesso ha già al proprio interno l'umore del significato globale del film. Ripeto: è la violenza assolutamente non voluta che non è pensata solo per tenere desta l'attenzione, ma per creare l'effetto d'orrore nei confronti dell'uccisione e delle modalità attraverso le quali questa si attua. (...) Il regista sembra dirci, e alla fine ciò appare palesemente. che l'autentico amore di un ebreo per Israele non può accettare il "do ut des" di ogni forma di vendetta." (Franco Patruno, L'Osservatore Romano, 4 febbrario 2006)

Steven Spielberg

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