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Gibson: una lettura “romantica” della Passione

Il film "La passione di Cristo" di Mel Gibson è stato fin dalla sua uscita al centro di accese discussioni. Alcuni lo hanno definito «un capolavoro», altri lo bollano come «antisemita», altri ancora uniscono parole di compiacimento e smorfie di disgusto, concludendo con la classica approvazione con riserva. Ci poniamo semplicemente alcune domande. A dare il giudizio sul film sarà lo spettatore.

Una prima macroscopica scelta riguarda le lingue, l’aramaico e il latino, idiomi antichi quasi sconosciuti (certamente in America, dove il latino non si studia a scuola). Di fatto i dialoghi sono ben pochi, quasi tutti tradotti nei sottotitoli. A parte la goffa pronuncia dell’aramaico (e qualche arrangiamento all’ebraico), è da rilevare che la quasi totalità delle citazioni viene dalla Sacra Scrittura, da quei testi evangelici che non sono la cronaca della passione bensì un annuncio di salvezza.

Ma proprio la rarità dei dialoghi pone in primo piano le scene forti, violente, al limite della sopportabilità. Ed è qui che troviamo un’altra trama che, a nostro avviso, non si rifà al testo biblico. Ci sembra che la sceneggiatura si ispiri fortemente alla discussa opera di Anna Katharina Emmerick, una mistica tedesca le cui visioni furono messe per iscritto dal romantico Klemens Brentano. Non è questo il luogo per discutere l’intricato rapporto fra il poeta e la suora; basti ricordare che Brentano ha intessuto invenzioni proprie e racconti altrui, presentandoli quali visioni della religiosa.

Di fatto scorrendo il libro della Emmerick pare di leggere la sceneggiatura del film di Gibson. Bastino pochi esempi. Dopo l’arresto, Gesù viene gettato da un ponte, in una sorta di bizzarro bungee jumping. Nei testi evangelici non v’è nulla di tutto ciò. È appunto la Emmerick (-Brentano) ad annotare: «Arrivati al centro del ponte, i miserabili gettarono il Signore» . Casualità? Durante il processo davanti al sinedrio si ironizza sul padre di Gesù, un carpentiere. Al silenzio dei vangeli si contrappone la prolissa descrizione della suora tedesca che pone sulle labbra degli accusatori una lunga serie di domande fra cui: «Sei tu il figlio del falegname di Nazaret o sei Elia venuto dal cielo sul carro di fuoco?».

Ma la concordanza quasi letterale la troviamo nella infinita scena della flagellazione che gli evangelisti accennano quasi di sfuggita (Marco 15,15; Matteo 27,26; Giovanni 19,1). La Emmerick, al contrario, versa litri d’inchiostro e Gibson al suo seguito: «Il Signore venne trascinato bruscamente vicino al corpo di guardia del pretorio, dove si trovava la colonna di marmo munita di anelli e ganci». E poi: «Le prime verghe di cui si servirono gli aguzzini erano strisce di color bianco, sembravano fatte di legno durissimo o di nervi di bue». Di nuovo: «I carnefici si avventarono contro Gesù con cieco furore, usando anche bastoni nodosi con spine e punte. I colpi dei loro flagelli laceravano la carne del Signore fino a farne sprizzare il sangue sulle braccia dei carnefici». Infine: «I carnefici si avventarono con maggior foga sul corpo martirizzato di Gesù. Per la fustigazione essi si servirono di cinghie munite di uncini di ferro». Ad un tratto, sempre stando alla Emmerick, un oscuro personaggio giunge e grida: «Fermatevi, non colpite questo innocente fino a farlo morire!». L’elenco delle concordanze potrebbe continuare: la moglie di Pilato, Claudia, offre alla Madonna e alla Maddalena bianchi lini; con essi le due donne asciugano il sangue di Gesù; Gesù stesso si stende sulla croce per permettere agli aguzzini di prendere le misure per la chiodatura delle mani e dei piedi, e così di seguito.

E' lecita una simile lettura della Passione? Crediamo di sì. In fondo, i documenti storici e archeologici in nostro possesso attestano che la condanna a morte per crocifissione non era uno scherzo! E insieme la pietà cristiana si è da sempre esercitata a descrivere in mille modi la passione di Gesù, sin dall’antica leggenda della Veronica.

Ci viene tuttavia un dubbio: l’interpretazione romantica, così attenta ai particolari della sofferenza e del sangue, tradiva una visione teologica assai problematica. Una visione in cui Dio era descritto come un essere arrabbiato e bisognoso di essere placato a motivo del peccato dell’uomo. E chi poteva placare l’ira di Dio se non il sangue del Figlio innocente? Gesù diveniva così il sostituto o il sacrificio espiatorio dell’ira di Dio che gli uomini si erano meritati. Egli si è assoggettato spontaneamente a portare la pena per riparare la giustizia divina, perché gli uomini siano risparmiati.

Un ragionamento geometrico, che non fa una grinza; un ragionamento in cui la morte di croce è l’adeguata soddisfazione del peccato dell’uomo. E tuttavia niente di più lontano dall’insegnamento del Nuovo Testamento in cui Dio si rivela come Padre e la solidarietà di Gesù fino alla morte di croce è letta come un mistero di comunione e d’amore. Nessuna ira da placare, nessuna soddisfazione vicaria per ristabilire la giustizia. Forse il film di Gibson si nutre di questa teologia?

don Matteo Crimella
Docente di Sacra scrittura presso il Seminario del Pime

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