Auditorium di Casatenovo. 50 anni di cinema e teatro

Rappresentazione iperviolenta della violenza

Intervista a Massimo Giraldi realizzata da Federico Pontiggia

Una scena dal film "The passion" di Mel Gibson

Abbiamo chiesto a Massimo Giraldi, Segretario della Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI, le sue prime considerazioni dopo la visione di The Passion of The Christ, il controverso film di Mel Gibson uscito nelle sale americane il Mercoledì delle Ceneri.

Il film ha scatenato aspre polemiche in merito al suo supposto antisemitismo. Qual è la tua opinione?

Non credo l'antisemitismo fosse un obbiettivo per Gibson e la visione del film lo conferma. In questa narrazione esagitata il livore dei sacerdoti ebraici che gridano di crocifiggere il Cristo è da intendersi come espediente per accrescere la drammaticità della rappresentazione e non come colpevolizzazione del popolo ebraico. Il supposto antisemitismo proviene in gran parte da critici e opinionisti che hanno espresso la propria posizione senza aver visto il film e da un battage promozionale che se ne è servito ad hoc.

Dopo la visione del film, puoi tracciare un primo sintetico giudizio?

Fatte salve alcune limitazioni, il giudizio globale sul film è improntato all'accoglienza. Da parte mia auspico un confronto serio e meditato sul film piuttosto che un suo rifiuto. Il punto di maggiore interesse credo risieda nella contestualizzazione storica de La Passione: dopo i numerosi rinvii simbolici sottesi alle moderne parabole cinematografiche, il recupero della dimensione storica può costituire per molti spettatori un'apprezzabile novità. La miscellanea temporale cara a tanto cinema - e a tanta cultura - contemporanea con il film di Mel Gibson conosce un punto d'arresto: il messaggio di Cristo calato dal cinema contemporaneo in contesti a noi vicini e abituali (la famiglia, il mondo del lavoro, etc.) ritrova qui l'hic et nunc storico. A questo proposito, si consideri l'utilizzo del latino e dell'aramaico teso a ricreare anche linguisticamente il momento storico.

Veniamo al tema della violenza: sono lecite le critiche piovute sul film a questo proposito?

Innanzitutto, va sottolineato come la scelta di concentrarsi sulle ultime dodici ore della vita terrena di Gesù produca una narrazione ripetuta, insistita. Ne consegue che la violenza stessa appare ridondante ed eccessiva. E' una violenza per così dire molto americana: per l'americano Gibson la violenza è connaturata al dolore necessario per superarla. La sua ottica prevede che più efferata e debordante è la violenza nei confronti di Cristo, più la sua Resurrezione assume grandezza e magnificenza: l'erroneità teologica di questa considerazione mi sembra evidente.

Come Gibson rende stilisticamente questa violenza?

Le sue scelte visive si pongono sulla scia del film d'azione americano anni '70: la violenza è ripetitiva, pervasiva e iperrealistica. L'uso del ralenti va in questa direzione. Questo profluvio di violenza è, per certi versi, controproducente: lo spettatore ne è accecato e stordito e il messaggio salvifico ne risulta irrimediabilmente compromesso.

Sotteso al tema della violenza è quello della rappresentazione: quale posizione assume Gibson al riguardo?

Certamente, sin dalle prime rappresentazioni cinematografiche della passione di Cristo risalenti all'alba della settima arte ci si è sempre posti questo interrogativo: fino a che punto è lecito mostrare? Quando bisogna arrestarsi di fronte alla violenza? Il film di Gibson riconferisce attualità a questo interrogativo etico-cinematografico. Come abbiamo detto, nel regista americano l'efficacia del messaggio salvifico discende dalla cruda rappresentazione della violenza. Il confronto tra violenza della rappresentazione e rappresentazione della violenza è risolto da Gibson con la rappresentazione iper-violenta della violenza. Allo spettatore serve tutta questa violenza? La mia sensazione è che questo far vedere senza limiti induca nello spettatore sensazioni di rigetto e di rifiuto. Sensazioni amplificate per lo spettatore contemporaneo che vive in una società e in una cultura che hanno rimosso i concetti di dolore, vendetta e colpa. Di fronte a questa situazione, quale significato assume un soldato che infierisce con la frusta sul Cristo? Anche di questo si dovrà tener conto quando il film uscirà nelle nostre sale: un divieto ai minori di 14 anni non sarebbe sbagliato.

Per un approccio consapevole al film

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