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Paradiso amaro

Paradiso amaro

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Cinereferendum 2012

Paradiso amaro vede protagonista Matt King, un marito e padre da sempre indifferente e distante dalla famiglia. Ma quando la moglie rimane vittima di un incidente in barca nel mare di Waikiki è costretto a riavvicinarsi alle due figlie: e quindi a riconsiderare il suo passato e valutare un nuovo futuro. Mentre i loro rapporti si ricompatteranno, Matt è anche alle prese con la difficile decisione legata alla vendita di un terreno di famiglia, richiesto dalle elite delle Hawaii ma anche da un gruppo di missionari.

Regia: Alexander Payne

Interpreti: George Clooney, Judy Greer, Shailene Woodley, Matthew Lillard, Beau Bridges, Robert Forster, Rob Huebel, Patricia Hastie, Michael Ontkean, Mary Birdsong, Milt Kogan, Amara Miller, Nick Krause

Sceneggiatura: Alexander Payne, Nat Faxon, Jim Rash

Fotografia: Phedon Papamichael

Montaggio: Kevin Tent 

 Biglietti esselunga Vieni al cinema alla domenica sera - a Casatenovo costa meno Prendi sei e paghi cinque - Tessere a scalare

Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)

Giudizio: Complesso, problematico, dibattiti

Tematiche: Eutanasia; Famiglia - genitori figli; Morte L'ossimoro rilanciato dal titolo italiano è spiegato subito dalla voce fuori campo iniziale di Matt, che riassume ciò che è accaduto 'prima'. Poi si comincia e, mentre il paesaggio si conferma di straordinaria suggestione turistico/ambientale, 'dentro' va in scena un inferno sempre più buio e angoscioso. Filo conduttore è un incidente nautico, un divertimento finito in tragedia: perché da quello segue il ricovero in coma e subito dopo il passaggio all'atto di staccare la spina. Così del resto Elizabeth stessa, la moglie vittima, aveva scritto nel proprio testamento biologico. Il documento viene accettato senza obiezioni dal dottore e dal marito, sebbene l'evento apra nella mente di Matt, in preda a laceranti contrasti con sè e verso le figlie, spazi di dolore non quantificabili. L'uomo ha nervi saldi ed equilibrio caratteriale solido: riesce a gestire l'inattesa notizia del tradimento coniugale, e a capire che la vendita dei terreni di famiglia non è più possibile. Il rispetto e la memoria di chi ha vissuto e conservato quella bellezza prima di lui non possono essere affidati a sconosciuti. Tutto allora resterà così, scenario amaro ma pur sempre paradisiaco. E' sfaccettata, sulfurea e fitta di chiaroscuri la parabola che Payne trae da un romanzo e proietta su un racconto insieme denso di calore e di uno strano retrogusto esistenziale. L'elaborazione del lutto è affidata ad una tonalità interiore dove il dolore ha accenti quasi insonorizzati, sfumature sottotraccia, armonie dissonanti. Il dramma familiare diventa dramma borghese, scontro di civiltà e la cifra espressiva di Payne si conferma quella di un approccio scavato, affilato, di ruvida e straziata poesia. La gestione del problema 'eutanasia', lungi dal trovare consenso, può tuttavia far capire l'atteggiamento della cultura americana (non ideologico, solo materiale: vedi la frase finale di Matt: non c'è altro da fare, andiamo) e rappresentare occasione di riflessione. Film denso e incisivo, ora tragico ora melodrammatico, che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.

Utilizzazione: è opportuno che, nella programmazione ordinaria, la proposta del film sia accompagnata dalla scheda per evitare equivoci sull'atteggiamento di fronte al tema 'eutanasia'. Più adatto per occasioni mirate, dove accompagnare la proiezione con contributi, suggerimenti, interventi di supporto. Attenzione è in ogni caso da tenere per minori e piccoli in vista di passaggi televisivi o di uso di dvd e di altri supporti tecnici.

cinematografo.it - Fondazione ente dello spettacolo ***** Payne e Clooney in missione maturità: tra memento mori e testamento esistenziale, un coming of age preda della malinconia

E’ la malinconia a farla da padrone in Paradiso amaro (The Descendants): sono "eredi" meno spassosi dei protagonisti di Sideways, ma infinitamente più assertivi, anche se costa fatica. Con 5 nomination agli Oscar (film, regia, sceneggiatura, attore protagonista e montaggio), Alexander Payne offre a George Clooney un ruolo da tenersi stretto e ricordare, magari con una statuetta in mano: il gigione, il guascone e il cialtrone Clooney non abitano - a parte sparuti motteggi - più qui, e non se ne sente la mancanza.

George è l’avvocato Matt King, discendente di una delle più antiche famiglie hawaiiane e, con i cugini, proprietario delle ultime terre vergini dell’arcipelago. Terre da vendersi, così vuole l’antitrust, in 7 anni: gli acquirenti non mancano, sul piatto c’è fino a mezzo miliardo di dollari, due cugini sono contrari, Matt e i più favorevoli. Eppure, Matt è diverso dai parenti: non scialacqua, eppure potrebbe, e - come già il padre - dà alle due figlie abbastanza per fare qualcosa, non così tanto perché possano non fare niente. Ha anche una moglie: bella, indipendente e indomita, ma ormai da coniugare al passato. Causa incidente nautico, è in coma e - scopriremo - non è, non è stata una santa: Matt deve elaborare più di un lutto e, soprattutto, provvedere in solitaria alle due figlie, diversamente ma ugualmente difficili. Ce la farà?

A rispondere è la sua vita, che forzatamente non sarà mai più quella di prima, a rispondere è soprattutto Alexander Payne, anche co-sceneggiatore dal libro di Kaui Hart Hemmings (Newton Compton), che gli tiene la camera addosso, nonostante ci fossero i temi ultra-sensibili - testamento biologico, proprietà privata - per prendere la tangente. Invece no, complice questo Clooney trattenuto, minimal e un cast indovinato e ben guidato, Payne riesce a carburare con fatica una riflessione multiprospettica su lutto e rinascita, perdita e “guadagno”, sparigliando l’anagrafe - meglio, le anagrafi - del coming of age.

Perché queste Hawaii non sono da cartolina, ma da memento (mori) e testamento esistenziale, più che biologico: ambizioso, a tratti involuto - e i 115 minuti non aiutano - The Descendants consegna un autore in crescita, che non diverte più come prima - Sideways - ma ha messo la testa al posto giusto, ovvero nel qui e ora delle nostre vite, che divertenti non sempre sono.

Non che manchino humour e battute azzeccate, ma non conta: è vivere e morire alle Hawaii, sperabilmente crescendo in mezzo. Matt come le due figlie è nell’età della crescita, ma Matt già tocca con mano la polvere a cui ritornerà: non gli resta che imbarcarsi nella missione maturità. E lo stesso Payne, costi quel che costi. Perfino, un film non totalmente riuscito, preda della malinconia - regia solida ma paratattica, ritmo lagunare e secche narrative - più di quanto avrebbe dovuto. (Federico Pontiggia)

Paradiso amaro

La critica

"Un Clooney intenso, bravo, calato nei panni di un uomo che scopre il tradimento della moglie in coma e si rende conto di aver sbagliato quasi tutto. Ne andranno di mezzo affari sentimentali e immobiliari alle Hawaii. Senza ricatti e con molta verità, Alexander Payne insegue ancora la crisi d'un uomo che non vuol fare l'eroe (Nicholson in 'A proposito di Schmidt...'), attento a non naufragare con la famiglia. Brava la figlia Shailene Woodley, pessimo titolo italiano: era 'The Descendants'. Un film che mixa storia, geografia, morale." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 17 febbraio 2012)

"George Clooney nel ruolo di padre distratto, di marito tradito, di ricco proprietario terriero in una delle isole Hawaii, con spaventose camicie hawaiane, bermuda, ciabatte, e guance paffute, non è al meglio per le sue ammiratrici. Ma forse si sbagliano perché lui e il suo ultimo film 'Paradiso amaro', diretto dal venerato Alexander Payne, hanno entusiasmato la critica non solo americana, vinto i Golden Globe e sono tra i candidati agli Oscar (con 5 candidature, tra cui miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista). Il titolo originale, 'The Descendants' si riferisce al fatto che Clooney e i suoi molti grassi cugini ubriaconi discendono da una principessa locale e da un banchiere americano, e hanno ereditato un immenso meraviglioso incontaminato terreno nell'isola di Kau' i. Il titolo italiano, più spiccio, riassume la situazione: il paradiso è Honolulu e dintorni, e sin dalle prime scene di grattacieli, traffico pazzo e capanne sulla spiaggia ci si ripromette di non andarci mai. L'amaro è la sconvolgente disgrazia che si abbatte su una famiglia molto americana che come tante appariva felice ed invece non lo era affatto." (Natalia Aspesi, 'La Repubblica', 17 febbraio 2012)

"Famiglie disfunzionali. Le Hawaii possono essere, appunto, un 'Paradiso amaro' (...). Alexander Payne è un regista di nicchia ma non troppo, tenuto in grande considerazione tanto dai cinefili quanto dai votanti degli Oscar perché sa offrire storie ben architettate e tematiche quotidiane, credibili e spalmate su toni tra l'umoristico e il tragico. Questo catalogo della piccola bottega degli orrori casalinghi sarebbe, però, troppo solfeggiato e petulante se non intervenisse la consueta bravura nell'estrarre il massimo dalle interpretazioni. Altro che idolo del gossip, qui l'ammaliatore Clooney disegna un personaggio spaesato e stropicciato con tale attrezzata, sinuosa e naturalistica finezza da fondersi perfettamente nel contesto ambientale e psicologico." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 17 febbraio 2012)

"Non è più un paradiso l'arcipelago più bello del mondo nonostante surf, cocktail tropicali, hula dance, palme, altipiani sublimi, fiori al neon, ukelele e sgargianti camicie da 100 dollari. E' un inferno, e non solo nelle ammorbanti periferie derelitte e postindustriali di Honolulu. (...) Non siamo in un set da film commission per dilettanti, anche se chi parla, Matt King (George Clooney) - super miliardario, ma laborioso; avvocato, ma padre di famiglia irreprensibile; distratto con la moglie, ma di regale stirpe nativa - vive a Kailau, il suburbio chic, esclusivo e residenziale dei 'caucasici', i padroni di tutto. (...) Il titolo originale, niente affatto iacopettiano di 'The Descendants' (discendenti) focalizza appunto il nucleo immaginario originale e il senso storico e politico di questo strano, raffinato, chiaroscurale mélo 'freddo' ambientato nelle isole Hawaii (49° stato degli Usa dal 1959) che insinua con fraseggio demodé (...) toni comici dentro la tragedia, e viceversa, e disperde infiniti semitoni e diesis in modo che perfino Clooney va spesso in controtempo, deliziando la critica più severa, impietosita dai tilt di un campione dell''understatement'. (...) Ma è proprio questo clash, mai componibile, tra melodramma familiare borghese irritante e banale, satira della borghesia mista e set barbaro allusivo a un fuori campo drammatico, a dare al film sapori quasi controculturali. (...) Dopo Mark Twain, Jack London e Maugham però anche Alexander Payne (regia e sceneggiatura, vero nome Papadopoulos, è greco) e il suo 'occhio' Phedon Papamichael (insieme dopo 'Sideways') svelano non le vere Hawaii al mondo, ma come ci sta davvero l'America nelle Hawaii." (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto', 17 febbraio 2012)

"Piacerà a chi reclamava un ruolo tosto per Clooney da troppo tempo dedito a fare il turista nei suoi film. E a chi conosceva già Alexander Payne e a chi non lo conosceva e adesso lo collocherà nella (poco numerosa) schiera dei grandi registi americani capaci di raccontare le tragedie con mano leggera, o se si vuole le commedie con una tristezza lancinante di fondo." (Giorgio Carbone, 'Libero', 17 febbraio 2012)

George Clooney

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Cinereferendum 2012 - I film della stagione 2011 / 2012


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